La
sottile linea di demarcazione tra l’individuo civilizzato, il cittadino, e il
semplice essere umano, si è sempre basata su dinamiche sociali complesse: la
dipendenza, la cooperazione, il sostegno morale. L’individualismo a confronto
con il pluralismo, con quel sentimento di autosufficienza che ha fatto di
alcuni popoli baluardi di sorprendente civilizzazione, per altri di rovinoso
declino storico. Quello smacco indiscusso dell’io dato dall’etnocentrismo, ad
oggi tanto sentito nella civiltà occidentale, si contrappone al pluralismo e al
collettivismo asiatico che della cooperazione ha fatto solide basi per lo
sviluppo del proprio sistema economico.
Eppure
allo stesso collettivismo, simbolo indiscusso della rinascita sinica, sembra
non appartenere l’estremo emisfero orientale, il mondo nipponico, dimora di
particolarismo e individualismo al di fuori di qualsiasi schema convenzionale
conosciuto.
Le
differenze tra Occidente e Oriente sono sempre state visibili, fin dai primi
incontri tra le due civiltà. La variabile culturale primaria nel nostro schema comparativo è certamente il
monismo organicistico tipico dell’Asia Orientale e il dualismo ontologico
dell’Occidente. Un dualismo originariamente platonico, nelle idee, nella
contrapposizione tra Dio e uomo, tra uomo e natura, in opposizione al continuum
posto negli stessi ambiti del mondo sinico.
Ad
avallare la tesi secondo cui l’universalismo sinico, storicamente individuabile
in un excursus storico consto di una storia prettamente agricola, basata
sull’alternarsi delle stagioni e sul rapporto che intercorre tra la natura e
l’uomo, è certamente anche la visione complementare delle cose data dalla nascita
dei principi Yin e Yang. Questi,
rappresentanti della coesistenza pacifica dell’alternanza degli eventi, sono
collegati dal “Tao”, letteralmente la via, che unisce i due principi. Non vi è
dunque seguendo questa prospettiva, rivalità tra gli eventi. Tutto convive in
un costante equilibrio. Ugual cosa non intercorre nell’emisfero Occidentale,
basato sul principio di “non contraddizione”. Da qui la differenza tra “l’o…o”
caro alle nostre menti e il “but also” tipico del pensiero orientale.
Una
premessa fondamentale questa, per delineare le differenze di partenza tra
l’Occidente e l’Oriente. Ma soprattutto tra la realtà in cui noi viviamo e
quella Giapponese. Un 日本 che si
distingue dalla stessa realtà della 中国 per
abitudini, usanze e modi di vivere.
Mentre nella realtà occidentale vi è una moralità consistente nello
sviluppo teologico di un senso di colpa, espiabile attraverso l’autocoscienza e
controllo per i protestanti e nella confessione per i cattolici, nel mondo sinico
non vi è tale distinzione religiosa. Alla
base della postura culturale sinica e più precisamente nipponica, vi è lo
sviluppo del senso di colpa così come inteso dalla società, filtrato attraverso
i rapporti gerarchici, colonna portante dei comportamenti delle civiltà
asiatiche.
Lo
stesso individualismo occidentale si contrappone violentemente al comunitarismo
orientale, come già abbiamo accennato in precedenza. Ma l’universalismo che
lega stranamente Cina e Occidente, si suddivide per le due realtà in soft e
hard. Infatti nel mondo sinico, così come illustrato da Mazzei e Volpi
nell’opera “Asia al Centro”, si affrontano i casi individualmente. I giudizi
sono dettati da più fattori, non solo da un freddo corpo di leggi. Anche qui
però vi sono le dovute distinzioni da fare. Basti pensare al caso America, dove
hard e soft convivono in un ostentato senso di etnocentrismo per cui i propri
standard devono essere necessariamente adattati agli altri, “pretendendo di plasmare il mondo a propria
immagine e somiglianza”.
Il
particolarismo giapponese si oppone allo stesso universalismo cinese e
occidentale. Alla base del costume nipponico infatti sembrano esservi proprio
le continue difficoltà affrontate lungo tutto lo sviluppo della loro civiltà.
Le controverse condizioni del territorio, l’isolamento dal mondo, la vicinanza
con la Cina e la
continua ricerca di un miglioramento, hanno fatto del Giappone un vero e
proprio corridore a lunga corsa. La costanza con cui nei secoli questo popolo è
riuscito a far proprie le tradizioni siniche ponendosi nella continua posizione
di secondo, è a dir poco sorprendente. Basti pensare all’apprendimento delle
forme idiografiche e al perfezionamento della prosa giapponese risalente al
IX/X secolo, attraverso la nascita dei kana, hiragana e katakana, utili alla
trascrizione pratica e oggi ancora utilizzati.
Ma
la stessa postura rigida e convenzionale, formale in ogni ambito, rientra nelle
motivazioni che portano alla comprensione di un senso di colpa integrato e
sviluppato nel modus vivendi del giapponese. La stessa antropologa Ruth
Benedict, nel 1946, a
seguito di un lavoro commissionatole dal governo Americano concentrato sulle
dinamiche comportamentali del nemico nipponico, pubblicò l’opera best seller antropologico,“Il
Crisantemo e la spada”, approfondendo proprio tali comportamenti.
Stesse
figure che si dividono in stadi, così come intesi dall’etica confuciana:
·
Sovrano- suddito;
·
Padre- figlio;
·
Marito- moglie;
·
Fratello
maggiore- fratello minore;
·
Amico- amico.
Il
rapporto di riverenza con il superiore
si manifesta attraverso un concetto
fondamentale: “ognuno deve stare al proprio posto”. Questa idea, è a sua volta
consolidata da tre precetti morali fondamentali, l’on, il giri e il gimu. Nella cultura nipponica l’on è l’obbligo
verso le figure modali e le istituzioni, mentre gimu e giri rappresentano le
risposte agli obblighi da adempiere.
Il
primo è l’assolvimento del debito morale contratto attraverso una forma di
pagamento imparziale e illimitata nel tempo, usata normalmente verso i
genitori; il secondo è invece particolarità prettamente giapponese e si traduce
nella risposta matematica, limitata nel tempo, dei debiti contratti. Il dazio
da pagare in caso di inadempienza si manifesta nel sintomo permanente della
vergogna, dunque dell’isolamento, o del suicidio.
Semplice
dunque comprendere quanto il particolarismo giapponese sia insito non solo in
norme comportamentali evidenti, ma bensì anche sopite, frutto di posture
culturali secolari, sopravvissute all’epoca feudale, meiji e moderna. Ad oggi
infatti il Giappone resta ancora uno dei Paesi più misteriosi del pianeta, con
un popolo capace di reagire alle continue controversie subite con indipendenza
e laborioso silenzio, tipico del Paese del Sol Levante.
Nessun commento:
Posta un commento